Il dinamismo vegetale, la capacità di adattamento, sviluppo e stabilizzazione di alcune piante rispetto ad altre, l’occupazione millimetrica di ogni spazio vitale offerto dall’ambiente naturale in una sorta di silenzioso conflitto per la sopravvivenza, non sono immediatamente rilevabili nei grandi spazi aperti. Lungo la fascia perifluviale aperta in golene più o meno estese e, oltre le quali, continuano magari frammezzate da coltivi, ampie siepi e piccole macchie boschive, la naturale disposizione delle piante in fasce parallele che seguono il corso del fiume, appare più nettamente distinguibile. A partire dall’alveo attivo, dove la caparbietà delle piante pioniere tesse trame di verde in luoghi impensati, l’Enagra comune (Oenothera biennis), il Tasso barbasso (Verbascum thapsus), plantule di pioppo nero (Populus nigra) passiamo ad una fascia intermedia, dove alcuni arbusti attecchiscono e, quasi con timidezza, avviano una copertura vegetazionale più cospicua. Ecco comparire l’Amorfa (Amorfa fruticosa), leguminosa infestante alloctona che tende a monopolizzare intere fasce golenali a scapito di essenze autoctone, ecco la meravigliosa Rosa canina (Rosa canina) con le sue cinorrodi d’un rosso acceso, il Biancospino (Crateagus monogyna), la Sanguinella (Cornus sanguinea) a ravvivare un folto arbusteto da cui spiccano talvolta giovani esemplari di di Salice ripaiolo (Salix eleagnos).

Tasso barbasso (Verbascum thapsus)

Sanguinella (Cornus sanguinea)

Enotera o Enagra comune (Oenothera biennis)
Questa fascia è spesso diradata dal substrato ghiaioso che seleziona gli esemplari più tenaci, specie nei periodi estivi in cui l’irraggiamento solare riflesso dalle ghiaie fa raggiungere a taluni siti temperature sahariane. Ecco presentarsi la classica disposizione “a isole” vegetazionali, con una pianta tutrice (un albero in genere) principale catalizzatore della scarsa umidità presente nel suolo di cui usufruiscono tante altre essenze arbustive. Ecco l’arcipelago del magredo, evidentissimo anche in piccoli tratti di golena: decine di isole più o meno estese, incredibilmente composte da piante della stessa altezza ed estensione, quasi fossero degli “stampi”. Subito dopo questa fascia, incontriamo essenze arboree più stabili cresciute negli anni a riparo da eventuali piene con conseguenze destabilizzanti per qualsiasi insediamento vegetale. Ecco gli alberi: alcuni Carpini neri (Ostrya carpinifolia), miti e nerboruti Bagolari (Celtis australis), Ornielli (Fraxinus ornus), ancora Pioppi neri (Populus nigra), qualche Tiglio (Tilia cordata), tutti prodromi del bosco planiziale classico, il querco carpineto, che costituirebbe la fascia vegetazionale successiva se vi fosse lo spazio adeguato e soprattutto la concessione da parte delle attività antropiche di una tregua. Il bosco planiziale è composto da Querce (Quercus robur, quercus petrea, et alii) e da Carpino bianco (Carpinus betula), e costituisce quello che in termini scientifici viene definito il climax del bosco planiziale, cioè lo stadio evolutivo vegetazionale finale, con l’espressione di specie arboree capaci di durare – se non avversate dall’azione umana o dalle conseguenze di eventi naturali straordinari – anche 1000 anni.

I variopinti gruccioni (Merops apiaster) sorvolano questi ambienti in estate, a caccia d’insetti.